“(…) si vedono fitti filari di alberi sulle cui cime sono distesi i tralci delle viti, che ricadono di lassù come se fossero rami aerei. Qui ci si fa un’idea di cosa siano i festoni! I grappoli maturi gravano sui viticci che penzolano lunghi oscillando” (Diario di un viaggiatore, Goethe, 1786)
Fino a pochi decenni fa, i vigneti dell’Area Padana avevano un aspetto assai diverso da come li conosciamo noi oggi: l’uva veniva coltivata e raccolta assieme ad altri frutti e l’insieme di queste coltivazioni e produzioni costituiva una struttura naturale eterogenea: passato alla storia con il nome di “Piantata Veneta” questo sistema si concretizzava con la l’impianto, ai bordi del terreno destinato alla coltivazione di cereali, di filari di viti che venivano “maritate” con olmi, aceri, salici, ma anche piante da frutto come ciliegi, fichi, peri e meli (a seconda del luogo e delle esigenze di coltivazione): tutori vivi che venivano fatti crescere assieme alle viti e i loro rami erano modellati per poterne sostenere il peso.
Ad oggi, la Piantata Padana, altro termine che identifica la vite maritata, è praticamente scomparsa dal territorio ma la formula linguistica “vite maritata” ha in se un significato elevato, in quanto espressione di scelte compiute lungo un cammino di secoli e testimone di antiche tradizioni.
Le origini di questo metodo di coltivazione risalgono a più di 3000 anni fa, al tempo degli Etruschi: questo popolo diede il nome a tale pratica ispirandosi al modo in cui vedevano crescere la vite, spontaneamente nei boschi e “maritandosi”, letteralmente abbracciando le piante in modo dolce e allo stesso tempo deciso.
La vite, infatti, è un arbusto rampicante, somigliante quasi ad una liana, e il bosco, alle nostre latitudini, è il suo ambiente naturale. Senza interferire con la pianta che la ospita, la vite risale verso la luce riparandosi da gelate invernali e insolazioni estive.
Si possono osservare testimonianze della vite maritata in tutte le epoche successive: dall’Impero Romano passando per il Medioevo e fino ai giorni nostri, coltivazioni di questo tipo vengono infatti rappresentate in numerosi manufatti e dipinti di ogni epoca e di varie correnti artistiche.
Ulteriore importante testimonianza è l’insieme delle mappe catastali realizzate nel 1500 su ordine della Serenissima: su tali scritti troviamo le dettagliate descrizioni dei territori della Pianura veneta, le varie culture, i villaggi, i vasti laghi e le paludi (antecedenti alla prima bonifica veneziana).
Quando non erano occupati dall’acqua, i terreni venivano per la maggior parte dedicati alla coltura delle viti alla maniera “maritata”, che occupavano una superficie quattro volte superiore a quella destinata ai cereali.
Unitamente all’interesse per la storia e la tradizione, nonché il rispetto per la naturale predisposizione delle piante, Marco Tessariol ha scelto di dedicare alcuni filari alla coltivazione di viti maritate, come retaggio del passato ma rivisti in chiave moderna: le viti di Bianchetta e Verdiso crescono in appoggio a meli, peri, ciliegi e fichi, protetti alle estremità da gelsi o salici. In questo modo, passeggiando tra i filari, in particolare durante la stagione estiva, è possibile cogliere i frutti di queste piante assaporandone il gusto e respirando l’emozione che queste strutture naturali regalano da secoli all’osservatore amante della natura e delle tradizioni.
Questo spumante è il risultato della combinazione dell’estro artistico dell’esperto enologo e dell’espressione dell’uva dell’annata: le vivaci bollicine fini e persistenti stimolano garbatamente il palato ed esaltano il giallo paglierino tenue di questo spumante. All’olfatto si presenta armonico e aromatico, predomina il sentore fruttato con presenza comunque della nota floreale vegetale che insieme conferiscono assoluta identità allo spumante. Ideale come aperitivo, servito fresco bene si accompagna alle pietanze a base di pesce e di crostacei. Le sue caratteristiche lo rendono abbinamento sublime anche per la pasticceria moderatamente dolce.
Si suggerisce la degustazione a temperatura molto bassa, accortezza che esalta maggiormente la spiccata mineralità che lo caratterizza.
Si presenta di colore giallo paglierino tenue, con riflessi verdognoli e dal perlage fine e stuzzicante. Da Epicureo Brut emergono inconfondibili note di frutta acerba e mela croccante, fiori di glicine e acacia, pompelmo e pere William.
Perfetto aperitivo da abbinare, in armonia, anche a pesce fresco crudo e marinato o a carni bianche e formaggi delicati.
Dal caratteristico giallo paglierino brillante con bollicine vivaci e persistenti, all’olfatto riporta note di mela, pera e gelsomino. Secco con caratteri di acidità e freschezza, che si presentano perfettamente bilanciate con la garbata morbidezza dello spumante: il risultato è un brut cremoso e deciso. Ottimo come aperitivo, si combina armoniosamente con primi e secondi piatti di pesce e carni bianche, abbinamento con cui è possibile distinguere con chiarezza tutte le sfumature che questo brut sa donare.
Dal sottile e persistente perlage, caratterizzato dal classico color giallo paglierino tenue. All’analisi olfattiva emerge una giusta intensità che richiama alla frutta: inconfondibili sapori di pera William, arancia, lievi sensazioni di mango, fiori di acacia e glicine. Un’armonia di richiami che fanno emergere sensazioni di sapidità e freschezza. Abbinamento ideale con aperitivi e antipasti, ben si sposa con affettati freschi di alta qualità. In perfetta unione anche con la pasticceria moderatamente dolce.